Esattamente vent'anni fa Tim Berners-Lee e Robert Cailliau proposero presso il CERN un progetto per elaborare un software per la condivisione di documentazione scientifica in formato elettronico indipendentemente dalla piattaforma informatica utilizzata, con il fine di migliorare la comunicazione, e quindi la cooperarazione, tra i ricercatori dell'istituto, basato sul concetto di ipertesto: gli diedero il nome di World Wide Web.
Questa idea ha rivoluzionato il mondo come i suoi stessi creatori difficilmente credo fossero in grado d'immaginare: oggi la civiltà moderna basa gran parte delle sue prospettive future sulla sua capacità di ridurre le distanze per la diffusione di informazioni grazie alla grande rete telematica che ormai copre tutto il pianeta: dalle più moderne metropoli con i loro teleporti, alle steppe della Mongolia tra le carovane dei nomadi allevatori di cammelli e cavalli.
Eppure in molte Nazioni del pianeta Terra, questo strumento è visto con vero orrore: cosa lo rende così spaventoso e pericoloso?
I pericoli di Internet sono tanti, dai crimini informatici ai rischi fisici alle persone che da essi possono derivare (adescamenti, aggressioni, rapimenti, estorsioni): la cronaca ci ha mostrato spesso quanto sia facile per un malintenzionato usare la Rete per perpetrare i propri scopi. Tramite Internet è facile anche diffondere informazioni pericolose per il solo scopo di creare un danno a terzi, dai dati sensibili delle persone, agli schemi per la costruzione di armi d'offesa, da come fabbricarsi un'arma da taglio con ciò che si ha attorno alla bomba atomica.
Le apologie di reato, poi si sprecano: incitamenti al terrorismo, all'omicidio, all'evasione fiscale, fino ad apologie di Nazismo, Militarismo e Fascismo ed alle dittature in generale, fino ad arrivare al caso dei fans di noti criminali e terroristi (non solo nel nostro Paese e non solo su FaceBook).
Infine i reati “patrimoniali” contro i detentori di diritti autorali o di diritti d'uso su software commerciale: quella che è diventata in teoria “pirateria informatica” (anche se un tempo s'intendeva con questo termine qualcosa di decisamente più serio) e che è diventato il problema numero uno per le majors del cinema e della musica e per alcune software house in ordine ai mancati guadagni che da questo fenomeno si sono (o sarebbero) ingenerati.
Ciò nonostante Internet ha un suo “pericolo” intrinseco: diffondere le notizie.
“Ma come?”, direte voi. Ebbene il punto della questione, molto sentito internazionalmente, è che questo strumento permette di esprimere opinioni dissenzienti in maniera semplice, economica e ad ampio raggio, facendo raggiungere molti luoghi in brevissimo tempo.
In virtù di questo, ancora oggi Internet viene limitata in molti Paesi del mondo, dalla Cina a Cuba, solo per fare i nomi più noti, che vedono un grande pericolo non solo per la diffusione di notizie che si preferirebbe mantenere “interne”, ma soprattutto per il rischio che i propri cittadini possano entrare in contatto con idee e culture esterne che rischierebbero di intaccare una visione “statale” della vita quotidiana, facendo aumentare o creando il dissenso politico.
Anche il nostro Paese ha sentito da qualche anno la necessità di avere un “maggior” controllo su cosa i suoi cittadini fanno e dicono on-line: normalmente ogni volta che ci connettiamo o che ci scambiamo e-mail, sul server dove questo scambio avviene viene tenuta una traccia, sotto forma di identificativi numerici (IP) di quanto abbiamo fatto in un dato momento e dove. Se decidiamo di aprire un sito web, sebbene gratuito o low cost, verrà tenuta traccia del nostro nome, cognome, data e luogo di nascita, se non anche del nostro indirizzo e del nostro numero di telefono, e comunque della nostra casella di posta elettronica. Se decidessimo di avere un sito web con nome a dominio .IT saremmo costretti anche ad apporre due firme su una Lettera d'Assunzione di Responsabilità, da spedire via fax o posta ordinaria ad un ufficio del CNR, di segnalare il nostro codice fiscale e/o la nostra partita IVA e se il sito è dell'azienda, dobbiamo esporre questi codici almeno in prima pagina.
Eppure, lo Stato (inteso come impianto burocratico e politico, non come cittadinanza) non si sente abbastanza sicuro, ed ha dedicato gli ultimi anni a cercare, studiare e perfezionare un metodo per rendere Internet ancora più “sicuro”.
Nell'ordine c'hanno provato, l'On. Levi col governo Prodi, l'On. Levi (sempre lui) col governo Berlusconi, il Sen. D'Alia con un suo emendamento, l'On. Carlucci (l'unica con un sito Internet e che sembri usare veramente lo strumento in questione). Tutti mirano un web senza più anonimato nel nostro Paese (anche se il nostro Paese non ha affatto questo problema...).
Ma come contano di riuscirci? E chi lo sa!?!
Loro non di certo, visto che in nessuna delle proposte fatte esiste una reale soluzione al problema, sintomo questo che i promotori non sono stati ben indirizzati dai legislatori (i politici non fanno le leggi, le firmano e le votano ed almassimo esprimono un principio politico su cui basarle, ma a scriverle sono il fior fiore delle nostre facoltà di giurisprudenza ed i principi del foro) che, a loro volta, non hanno avuto dei tecnici telematici ed informatici che spiegassero come funzionano le cose.
Probabilmente la cosa si ridurrà nella tipica "ricetta all'italiana": ci chiederanno ogni volta che accederemo ad un sito web, oppure ogni volta che scriveremo un commento, di inserire il nostro codice fiscale ed istituiranno un nuovo ente per “controllare” che ciò avvenga.
Amen.
Comunque per non avvilirvi, potreste diventare hacker ed agirare qualsiasi ostacolo vi si presenti... guardate il video di ICTv qui sotto per apprendere i 5 principi di base e buon divertimento!
Me pizzica, me mozzica, me devo da sfogà...
venerdì 13 marzo 2009
Buon compleanno Internet!
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