Me pizzica, me mozzica, me devo da sfogà...

mercoledì 4 marzo 2009

Privatizzazioni all’italiana: dopo luce e telefono, ora anche l’acqua. L’abitudine di peggiorare ciò che è già peggiorato.


La notizia è ghiotta: l’acqua non sarà più a gestione pubblica, ma privata!
Qualcuno dirà che il servizio idrico già era appaltato a società di gestione e che quindi più di tanto non si sentirà la differenza, ed avrebbe pienamente ragione a vederla così. Il problema è proprio questo: in Italia si privatizza per modo di dire. In realtà l’azione che si svolge non è una liberalizzazione del mercato, ma una cessione dello stesso a soggetti già presenti che non fanno altro che creare un monopolio locale geografico dei servizi forniti.

In sostanza le imprese si dividono la nazione in aree di copertura, nelle quali gli utenti non sono liberi di decidere da chi avvalersi per luce od acqua, ma sono costretti a rifornirsi solo ed esclusivamente da un gestore unico per la zona in cui si vive.

Un esempio simile è quello dell’energia elettrica: è vero che in Italia non c’è solo l’ENEL, ma è anche vero che o si è sotto la copertura di quest’azienda o sotto la copertura di un’altra (ad esempio una parte di Roma è servita da ACEA anche per la luce, oltre che per l’acqua). Il cittadino non è libero di dire “cambio perché con questa mi trovo male”, deve accontentarsi di chi ha il monopolio sulla sua area geografica, provincia, comune o rione che sia.

Col telefono non è stata fatta la stessa operazione, ma qualcosa di molto simile: all’inizio, quando SIP divenne Telecom Italia, si ebbe esclusivamente un cambio di nome (a noi italiani piace cambiare nomi e sigle, nella speranza che non si noti che nulla è cambiato); in seguito ci si trovò in una situazione curiosa: il servizio all’utente poteva essere gestito da altre società, ma la rete rimaneva di proprietà di un unico titolare, divenuto di fatto monopolista privato. In questo modo per alcuni anni tutti pagavano il canone di base a Telecom e qualcuno pagava le bollette ad altri (di fatto clienti del proprietario della rete, cioè Telecom). Oggi è rimasto più o meno invariato il discorso, anche se formalmente ci si può “distaccare”: cioè si demanda all’azienda che ci fornisce il servizio telefonico di pagare lei Telecom, per la rete di cablaggi e centraline, che rimangono di proprietà unica.

E con l’acqua? Oggi ogni singola area ha il suo gestore che ottiene l’appalto dal Comune o dall’Ente geografico d’appartenenza ed amministra così il bene pubblico. Con molta probabilità ci si ritroverà in una situazione identica a quella dell’energia elettrica, ma con un numero di aziende superiore a quelle telefoniche. Che cambierà per il cittadino? Tutto, ed in peggio: non facciamoci illusioni.

In sostanza ci viene chiesto di fidarci di questi “gestori” che, però, non saremo liberi di cambiare a nostro piacimento: se vorranno alzarci la tariffa saremo costretti a pagare comunque come facciamo con la corrente elettrica, non potremo minacciare di cambiare contratto con uno offerto dalla concorrenza perché sarà materialmente impossibile trovare un’alternativa nel nostro Comune. In più, esclusa l’Antitrust (che in un frangente simile, ben poco può fare), avremo come unica tutela al rischio di un cartello nazionale, la fiducia nell’azienda di riferimento.

Il problema è che in Italia la fiducia è sempre stata poca, perché le grandi imprese e gli enti pubblici hanno sempre fatto molto poco per meritarsela: spreconi, arroganti e spesso cafoni, si comportano con pugno di ferro con chi permette loro di esistere e che spesso chiede solo un minimo di onestà e chiarezza, soprattutto chiarezza. Le aziende ormai si arroccano sul fatto che è offensivo non avere fiducia in loro, come se si trattasse di una questione di mancanza di rispetto, ma che comunque il cittadino ha poco da fare: intanto paghi e poi si vedrà, senza tener conto che spesso per pagare cifre assurde richieste si devono fare immensi sacrifici sperando in un futuro conguaglio, ben magra consolazione, che non vedrà certo ritornare il troppo versato indebitamente.

Più passa il tempo e più mi domando se non convenga vivere come nel Medio Evo, sperduti per le campagne a far da sé, ma probabilmente violeremmo qualche legge e scopriremmo che se ci produciamo energia elettrica da soli dobbiamo pagare comunque un canone all’ENEL e se estraiamo acqua potabile da un pozzo, questo ci può essere requisito dal Comune, ci dobbiamo pagare sopra delle tasse aggiuntive e probabilmente dovremmo riconosce qualcosa al gestore locale, per indennizzarlo dell’utenza mancata.

In sostanza non c’è soluzione. O forse c’è? L’Italia è un paese molto bello, soprattutto in estate. Ci si potrebbe venire in vacanza e vivere al di fuori di essa, in qualche “lido” più civile e meno ingordo.

Poi però i sogni riportano alla realtà ed al ricordo delle vicende di Valentino Rossi, che sebbene cittadino di un’altra nazione, è stato bollato dal nostro Fisco come evasore e per non avere altre “rogne” con l’Italia ha preferito pagare e tacere, storia sempre molto sospetta, questa del pilota, ma avendo come sponsor la FIAT forse si potrebbe pensare che l’Italia ha creato un’operazione, non tanto per recuperare un’evasione, che non ha di fatto recuperato, ma per recuperare un reddito da spremere al 70% d’aliquota, come ha di fatto ottenuto, sotraendola a Sua Maestà.

Viva il Bel Paese ed i suoi raschiamenti dei fondi dei barili. Viva i barili, che siamo noi.

1 commento:

Unknown ha detto...

Hai ragione, in Emilia Romagna è tutto in mano alle coop, che praticamente, di cooperativo non fanno nulla ma solo di politico.A capo degli enti girano i politici trombati da comune o provincia o regione per dargli un lavoro intanto hanno il monopolio e noi paghiamo quello che vogliono loro,tutta l'ER è sotto HERA.
Ciao,
Plinio

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