Prezzi e benzina aumentano? Qualità della vita e benessere calano, ma il Pil cresce. In tempi di crisi, gli esperti cominciano a criticare l’indicatore economico tradizionale e a proporre delle alternative.
Il Pil scende inesorabilmente e si inabisserà del 2,3 per cento nel corso del 2009, secondo quanto pronosticato da Prometeia nel ‘Rapporto di previsione sulle prospettive di breve-medio termine dell'economia internazionale e italiana’. Nel momento peggiore della crisi e del credit crunch, il Prodotto interno lordo rientra fra le ossessioni economiche dei Paesi occidentali e orientali, avanzati e in via di sviluppo.
Ma a ben vedere non è che i cittadini abbiamo mai posto troppa attenzione a questo benedetto (o maledetto) Pil. Spesso, infatti, anche venendo tacciati di superficialità, gli italiani se ne sono infischiati altamente, badando piuttosto all’aumento dei prezzi e alla congruità e regolarità degli stipendi. Ora, però, anche i nostri economisti cominciano a mostrarsi scettici, proponendo addirittura una ‘sostituzione’ del Pil. Conil dubbio che tale ripensamento dipenda dal tentativo di far sembrare la situazione economica ‘meno peggio’ di quanto è.
Il crimine fattura:
Sta di fatto che molti esperti nel mondo sembrano d’accordo nel rispolverare un vecchio discorso di Robert Kennedy, datato nel fatidico 1968, dove il mai eletto presidente definiva il Prodotto interno lordo come inadeguato ad indicare il benessere delle nazioni. Una posizione non tanto filo-hippy o neo-contestataria, quanto logica visto che - spiegava Bobby - l’andamento del Pil è direttamente proporzionale a dati negativi come criminalità, inquinamento, malattia e ignoranza: all’aumentare dei costi di sanità e benzina, infatti, cresce beato, ma “non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago”.
D’altro canto pare che gli antenati di questo indicatore economico risalgano niente meno che al 1640, quando il governo di Oliver Cromwell cercò di sfrattare i cattolici insurrezionisti in Irlanda a colpi di tasse, e cercò di misurare la ricchezza terriera per distribuirla alle truppe inglesi. Ancora oggi, effettivamente, il Prodotto Interno Lordo segna incrementi positivi all’aumentare delle tasse.
Lo spirito kennediano è bene espresso da Mariano Bella. Il responsabile Ufficio studi di Confcommercio evidenzia che “nessun economista ha mai affermato che il Pil sia una misura di benessere” e afferma che i nuovi indicatori di ‘benessere’ dovrebbero tenere conto del tempo libero. Confcommercio, pur avvertendo che il tradizionale indicatore “va tenuto sempre in grande considerazione”, ne ha elaborato un secondo, il Quoziente qualitativo di benessere: “Preliminare e imperfetto, che integra informazioni sul reddito medio/Pil con misure relative alle preferenze individuali, tenendo conto anche delle condizioni dei mercati presso cui si approvvigionano i consumatori”.
Un ragionamento di questo tipo potrebbe rivoluzionare un’economia sempre meno ‘concreta’: il Qqb infatti, “è calcolato come rapporto tra la spesa per consumi più desiderabili e quella per beni e servizi obbligati, come alimentazione di base, affitti, energia elettrica, riscaldamento e altro”. Dice insomma quanto, “per ogni euro speso in consumi obbligati, è destinato a consumi liberi e preferiti”.
Proposte europee:
A livello europeo si animano altre proposte. A fare da traino la Francia di Nicolas Sarkozy con la sua nuova ‘Commissione sulla misurazione delle performance economiche e del progresso sociale’. Presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz, ne fanno parte personaggi del calibro di Amartya Sen, Daniel Hahneman e Jean-Paul Fitoussi. Quest’ultimo, autore di una vera e propria teoria della vita quotidiana, spiega che “quando i prezzi degli affitti in centro aumentano, ciò accresce il Pil. Ma si va a vivere in periferia, il tempo del pendolarismo aumenta: è tempo perso che riduce il benessere, eppure più esso sale, più il Pil aumenta ancora. Servono infatti più poliziotti agli incroci e più benzina nel serbatoio”.
La spiegazione è chiara: gli aumenti del carburante a cui siamo andati incontro nell’anno passato pesavano negativamente sulle nostre tasche, ma paradossalmente avevano un effetto benefico per il Prodotto interno lordo, determinando dati ottimistici per niente percepiti dalla gente comune.
Sempre sulla linea del ‘paradosso’ Jonathan Rowe, scrittore americano, descrive un tristo figuro, malato terminale di cancro alle prese con un costoso divorzio: eppure un soggetto tanto mal messo è più utile per l’aumento di Pil di uno sano, felicemente sposato e soddisfatto della sua vita. L’America effettivamente è il Paese simbolo della ‘contraddizione interna lorda’, visto che dal secondo dopoguerra ha sempre mostrato alti ed invidiabili livelli di Pil, affiancati da elevati livelli di obesità, costi sanitari e inquinamento, come nota Rowe.
Enrico Giovanni, capo del dipartimento statistico dell'Ocse e del gruppo sulla valutazione dei dati crescita, già nel 2007 proponeva di inserire nelle misure della ricchezza parametri sociali e, pur considerando che il Pil rimane un valido indicatore economico, precisa che “l’eccesso di attenzione a questo dato ci ha fatto perdere di vista alcune fragilità dando troppa attenzione ai risultati immediati”.
Più o meno tutti d’accordo: nessuna sostituzione, ma una compensazione tra dati meramente quantitativi e rilevatori qualitativi. “Cambiare la misura perché ci dice cose che non ci piacciono non è serio. Sono molto a favore di sviluppare misure aggiuntive oltre quelle contabili, ma mescolarle non è una buona idea”, commenta Paolo D’Anselmi, autore de ‘Il barbiere di Stalin – Critica del lavoro (ir)responsabile’ e collaboratore tra gli altri del Consiglio nazionale delle ricerche: “È pur vero che continuare a darci come obiettivo il solo Pil appare poco significativo. Si può sviluppare un indicatore di benessere da affiancargli, ma continuando a calcolarlo, se non altro per raffronto storico”.
La crisi, insomma, può essere “l’occasione buona per scrivere il libro dei sogni. Essere d’accordo sulla crisi può dare dei frutti, ma per favore non ci si accordi per mettere le mani sulla cassa”.
Il Bhutan è più avanti:
Nonostante la copertina dell’Economist guadagnata nel 2007, l’idea di Re Khesar di dedicarsi a politiche che incrementino non il Pil del suo Paese, quanto la felicità dei cittadini, è sempre stata circondata da forti ironie. Agli occhi dei più pratici opinionisti, la ‘Felicità interna lorda’ sembrava una boutade. Il Re del Buthan e la sua convinzione che tra i dati del benessere vadano considerati gelosia, frustrazione, tempo libero, salute, educazione ora sono però diventati più che mai attuali. Sulla stessa linea d’onda l’Happy placet index nato per mano del gruppo ambientalista Friends of Earth, il quale misura unicamente l’efficienza ecologica.
Fiducia e libertà:
Una statistica Ispo indica che tra 2007 e 2008 la fiducia nei confronti degli istituti di credito è scesa del 28 per cento, quella nei confronti dei sindacati dal 43 al 23 per cento. Dell’amministrazione pubblica si fidano solo 19,8 italiani su cento, dei partiti politici appena 8,8. Quale, allora, la cura? Ancorare l’economia all’eticità, sostiene Flavio Felice ne ‘L’economia sociale di mercato’, in cui si ripercorre il pensiero della scuola di Friburgo Walter Eucken. Gli ‘ordoliberali’, dal nome della rivista Ordo fondata dallo stesso Eucken nel ’40, si contrapponevano ai totalitarismi dell’epoca, proponendo un sistema basato su economia di mercato, libera iniziativa e lotta a monopoli pubblici e privati.
La scuola di Friburgo è stata accantonata dalla seconda metà degli anni ’70 e, spiega Felice in merito alla situazione italiana, ignorata in sede di Assemblea Costituente: “Erano anni in cui nessuno avrebbe messo in discussione il modello delle partecipazioni statali” spiega il professor Felice “in tempo di smisurato ottimismo, le cautele e i timori ‘ordoliberali’ di burocratizzazione, di monopolizzazione dei servizi sociali e le ricette antistataliste a favore del principio di libera concorrenza, apparivano come un’inutile zavorra che avrebbe inevitabilmente rallentato il ciclo economico positivo innestato dalla ricostruzione”. L’autore spera che “la consapevolezza che sia finita un’epoca conduca le classi dirigenti economiche, politiche e culturali a livello globale a riconsiderare la rilevanza della cultura delle regole anche per la disciplina dei mercati”. La libera concorrenza “è un bene troppo importante perché affondi sotto i colpi dell’irresponsabilità, dell’ingordigia o dell’ignoranza di banchieri, manager e politici”.
Citazione:
“Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago”, Robert Kennedy, 18 marzo 1968
Francesca Lippi, "Contraddizione interna lorda. Prezzi e benzina aumentano? Qualità della vita e benessere calano, ma il Pil cresce. In tempi di crisi, gli esperti cominciano a criticare l’indicatore economico tradizionale e a proporre delle alternative".
SP il giornale di San Patrignano, pagina 30 e 32, n° 210, Aprile 2009
Me pizzica, me mozzica, me devo da sfogà...
sabato 25 aprile 2009
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3 commenti:
il Pil ha rotto le Pal,sono d'accordo
Plinio
Bella... dovremmo farci uno slogan, magari della Nazionale. :)
Mamma mia come c'hanno ridotto...
E' da anni che un certo personagio definito "qualunquista e populista" cerca di dare voce a economisti che sostenevano questa teoria....e invece gli economisti più "illustri" se ne sono accorti solo ora?(oppure ce lo dicono solo ora...)
Bell'articolo
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