Me pizzica, me mozzica, me devo da sfogà...

giovedì 17 marzo 2011

La scuola italiana, il semianalfabetismo e le manifestazioni di piazza...

Penso di aver impiegato almeno 6 mesi per scrivere questo post... ho iniziato con l'avvento della riforma Gelmini, ho continuato in seguito e penso di averlo cancellato almeno una decina di volte. Nel corso di questi mesi sono successe infinite cose e, va detto, alcune delle istanze dei dimostranti mi trovano anche d'accordo.

A farmi finalmente decidere a pubblicare una stesura definitiva di queste righe è stata la puntata di Nove in punto di Oscar Giannino del 9 marzo 2011 che trattava proprio l'argomento Scuola dal punto di vista della qualità dell'insegnamento.

La prima cosa che voglio ben chiarire è che, come tutti coloro che fanno impresa e che lavorano in un settore terziario ho chiara l'inversità del rapporto tra numero e qualità e quindi so per certo che non è affatto vero che più insegnati significa necessariamente una maggiore qualità dell'insegnamento.

A differenza di Giannino, la mia generazione non ha mai sentito alla radio lo sketch del Prof. Achille Aristogitone, ma il concetto è anche per noi lo stesso: abbiamo memoria solo di quegli insegnanti le cui lezioni permangono oggi a distanza di quindici anni dal diploma. Degli altri che tanto tempo hanno dedicato al "rapporto con gli studenti" e ben poco agli oggetti delle materie trattate, non ricordiamo neanche il nome.

Le Elementari
Essendo stato studente parto da un presupposto fondamentale: Suor Ida, Suor Claudia, la Maestra Maria, la Maestra Paola e la Maestra Renata hanno fatto un buon lavoro, non perché me le ricordo come persone tutto sommato dolci (ma inflessibili), ma anche e soprattutto perché arrivato in Prima Media all'età di 11 anni sapevo scrivere un tema articolato di un paio di fogli protocollo, avevo una calligrafia più che leggibile, sapevo firmare (con una mia firma personale), avevo una discreta infarinatura di geografia (dove stava la Basilicata per lo meno mi era noto...), potevo affrontare un'equazione, sapevo chi era Mussolini e cosa fosse la Seconda Guerra Mondiale, avevo persino dei rudimenti di prospettiva in disegno. Unito a dei genitori presenti, ma non oppressivi, potevo tranquillamente saper girare al largo dai pushers fuori della scuola (cosa non da poco) ed evitare di credere che ci si potesse lanciare dalla finestra come Duke Fleed e rimanere indenni.

Ed oggi? Oggi non chiederei mai ad un insegnate elementare potentino cosa sa dirmi della Basilicata...

Come imprenditore mi capita di avere a che fare con ragazzi che escono dal liceo (quindi hanno quindici anni appena meno di me) in cerca di lavoro.
Parlandoci resto sconvolto: hanno capacità di articolare un pensiero logico, così al di sotto delle aspettative minime, da renderli del tutto inadeguati ad un lavoro in ambito telematico. Anche alcuni neolaureati risultano essere nelle medesime, patetiche condizioni, con in più l'aggravante dell'arroganza data dal pezzo di carta di alto livello, che nella maggior parte dei casi fa riferimento ad informazioni di dubbio valore od obsolete, che tutto li rendono, fuorché degli edotti in problem solving... certi hanno un livello talmente infimo di capacità analitiche da non saper identificare neanche un problema qualora gli si presenti davanti.

La maggior parte hanno difficoltà a leggere anche la stampa specializzata (quella da edicola, perché non oserei mai mettere loro sotto al naso le riviste professionali a cui sono abbonato, scritte magari da manager o professori universitari e spesso con articoli in inglese anziché in italiano). Hanno poca cultura in tutto, perfino in quelle cose che un ragazzo di vent'anni dovrebbe masticare senza problemi, come musica, cinema, fumetti. Non leggono nessun genere di libri: non dico romanzi, ma non leggono neanche i volumi per l'aggiornamento professionale, convinti che non serva a niente (tanto i clienti mica stanno a vedere cosa sai fare...).

Come si è arrivati ad una tale situazione? Mesi fa ho avuto l'occasione di entrare in una scuola elementare della mia cittadina e finalmente ho capito: da un'istituto impostato in quella maniera, sarei uscito analfabeta anch'io.
Classi da 20 studenti chiusi in una stanza di 20 metri quadri con due insegnati più il sostegno ed una giornata passata a zittire, a portare i ragazzini a fare attività extra scolastica (e qualcuno mi dovrebbe dire cosa centrano le lezioni di vela con l'insegnamento elementare), a preoccuparsi se il bambino ci resta male a prendere un brutto voto perché non ha studiato (non sia mai che qualche padre deficiente si presenti per picchiare la maestra...).

Risultato?
A nove anni sanno a mala pena chi fosse Giulio Cesare, hanno limitate conoscenze geografiche (Viterbo è in Toscana, per loro... non ho, a quel punto, avuto il coraggio di domandar qualcosa su Potenza...), ed alla lavagna stanno ancora alle quattro operazioni di base.

Però a scuola hanno la lavagna elettronica; possono alzare od abbassare la serranda da soli; hanno smartphone da 400-500 euro, ma sognano il touchscreen; hanno soprattutto la capacità di fare allusioni sessuali sul fonodoschiena della maestra di sostegno (io ci sono arrivato a 12 anni a sognare di baciare una ragazza e solo l'anno dopo avevo l'uzzolo di fare di più, loro a 9 ne sanno più di Rocco Siffredi... e pure lui e sua moglie resterebbero sconvolti) e le bambine sanno identificare le madri dei loro compagni con una femmina gravida di Rattus rattus...
Per farli uscire da scuola e fargli raggiungere lo scuolabus serve un esercito di 4 bidelle e relative insegnanti!!!


Ma, cavolo, dico io!!! Allora la Maestra Renata era un drago!! Una forza della Natura!
Da sola, in una stanzona di 30 metri quadri gestiva 27 bambini di cui 2 disabili e riusciva nel contempo ad insegnare, badare alla salute di noi bambini, sapere come andavano le cose a casa nostra, consigliare i nostri genitori e pure fare la casalinga!!! Mai nessuno ha osato mancargli di rispetto: mai un solo genitore ha osato anche solo pensare di picchiarla perché non dava un bel voto al figlio. Le mie compagne delle elementari non sarebbero mai state in grado di identificare le madri di noi altri con una femmina di bovino adulto, figurarsi con quelle di un Rattus rattus... e sì, che vivendo in campagna, di mucche se ne vedono...

Come caspita ci riuscivano, una volta? Eppure non mi venissero a raccontare che i nostri piani di studio erano più semplici perché è vero il contrario.

La Scuola Media
Già qui qualche segno di decadenza s'intravedeva: l'architettura inanzi tutto. La scuola media di Santa Marinella è un classico esempio di un progetto di carcere riciclato per realizzare appunto un istituto per ragazzi. Non aveva spazi esterni per la ricreazione: quando pioveva risultava comodo, ma quando era bel tempo, fare ricreazione in classe o sul pianerottolo era proprio brutto. Le dimensioni facevano riferimento ad un numero di bambini mai raggiunto da quell'istituto: 7 sezioni da tre classi (cioè 21 classi da 25 bambini; 525 preadolescenti su una popolazione cittadina di 12.500 anime è un pio desiderio e non una realtà oggettiva...).

Ora il numero degli insegnati comportava una certa discriminante sulla qualità: la professoressa di italiano aveva grandissime difficoltà a causa della sua origine: proveniva da Vibo Valentia e parlava solo calabrese. Disperata, quando non sapeva ci imponeva di usare un libro di testo che non aveva scelto lei e che aveva difficoltà a sfogliare. Non era cattiva, ma non era un insegnate. Siamo arrivati al Liceo con limitate conoscenze della nostra lingua, ma più o meno tutti potevamo simulare l'aspirazione tipica del dialetto calabrese...

Quella d'inglese, che era pure cattiva, parlava la lingua della Bianca Albione con un curioso accento della bassa toscana... Uniti agli insegnamenti linguistici del Liceo, sono stato facilmente convinto a spendere 1500 euro per un corso professionale con dei madrelingua svolto in età adulta, visto che 8 anni di studio della parlata di Sua Maestà Britannica presso le patrie scuole non sono serviti assolutamente a nulla. Neanche a rimorchiare le turiste...

Finite le scuole medie, decidendo per il cittadino Liceo Scientifico, partivo quasi da zero: sapevo usare un traforo per il legno, fare una assonometria cavaliera, odiavo la musica classica (merito di un insegnate uscito dal Conservatorio...), avevo seri problemi con le doppie ed alcune curiose problematiche sintattiche, parlavo inglese come parlavo cinese mandarino, se sapevo qualcosa della biologia del mio corpo dovevo ringraziare l'insegnate di Educazione Fisica (patetico panegirico per indicare "Ginnastica"). Ma uscivo con un "Distinto" perché all'esame mi ero presentato con una ricerca sul Fascismo ed il Presidente di Commissione (rigorosamente esterno, figlio di partigiano e sessantottino) trovò quanto scrissi e dissi politicamente corretto, democratico e non apologetico: capivo di matematica "una emerita cippa", ma per lui ero quasi da Ottimo, pubblicazione della ricerca e "pomicio" accademico...

I cinque di Liceo
In teoria mi potevo fermare qui, ma mia madre e mio padre erano convinti che almeno un diploma di scuola superiore era d'obbligo visto il bagaglio "culturale" che m'aveva lasciato la scuola media. Optai per la comodità del liceo scientifico di Santa Marinella a due passi da casa (se la Natura fosse stata meno crudele a non dotarmi di ali o se avessi avuto a disposizione un deltaplano, era ancora più vicino...).
Appena entrato venni subito investito da una valanga di sogni di gloria:
l'insegnante di italiano già ci preannunciava che saremmo stati la generazione del futuro, quella che avrebbe risolto i problemi delle generazioni precedenti (e qui il mio pensiero volò verso la fatidica domanda: perché non ci pensano ora loro e pretendono che tappiamo i buchi noi domani?), che una volta diplomati si sarebbero aperte le porte dell'Università e poi avremmo trovato sicuramente lavoro (ed a quel punto pensai che la professoressa non leggeva i giornali: già allora si parlava infatti della forte disoccupazione post-laurea...), che le scuole italiane erano invidiate da tutti all'estero perché erano le migliori del mondo (e pensai che la professoressa si scordava che l'ultimo Nobel lo avevano dato a Carlo Rubbia quasi dieci anni prima per un progetto realizzato in Svizzera, perché in Italia non glielo lasciavano fare...).

Compresi. Compresi che mi stavano fregando, truffando, turlupinando ed il tempo mi diede ampiamente ragione.

Cinque anni di Liceo sono serviti a ben poco se non a porre qualche rimedio ai danni della Scuola Media ed a capire dove ci stavano portando quegli insegnanti: allo sfacelo, ma politicamente corretto. Ci volevano in piazza per proteggere la loro categoria, già allora. Ma con la mia generazione attaccava poco: noi delle domande le ponevamo e quando non ricevevamo risposte sensate, snobbavamo a piè pari certe ridicole istanze. A noi, può sembrar strano, ci interessava uscire dal liceo con qualcosa in mano. A chi questo non interessava, l'anno successivo non si presentava: non era mica obbligatorio.

Il più grave errore degli insegnanti fu quello di piazzare la mia "indisciplinata" classe liceale affianco alla sala professori... solo questo dimostrava quanto poco di noi avessero capito... per anni abbiamo saputo i loro vizi e le loro virtù: le firme di presenza apposte dai colleghi, le uscite ingiustificate coperte dai superiori, i commenti sugli alunni, le preferenze derivanti da antipatie e simpatie, fino all'abitudine di rivalersi sugli studenti per le problematiche personali e domestiche, sfruttando l'illegale pratica di scrivere sul registro i voti a matita, per poi rettificarli a penna quando nessuno vedeva. Nulla di trascendentale, badate bene: in fin dei conti i professori sono solo umani (direbbe la Reverenda Madre Gaius Helen Mohiam...). Ma la loro umanità schiacciava la nostra. Ed allora perché combattere per loro, il loro stipendio ed i loro privilegi?

Un insegnante di medie e liceo stava in aula appena 4 ore al giorno, e non per tutte le materie. Aveva un numero di giorni di riposo quasi triplo rispetto a quello dei nostri genitori impiegati, privati e pubblici, ma percepiva il medesimo stipendio. Soprattutto poteva avere più di una cattedra, in più di una scuola, in più di una città, percependo un premio in busta paga per ognuna di esse: l'ultima mia insegnante di Matematica in teoria doveva fare lezione in due città, ma solo noi avevamo l'onore di vedere la sua rugosa faccia; quelli dell'altra scuola, a circa 100 km dalla nostra, dovevano accontentarsi del supplente e l'hanno avuto per ben 5 anni.
La mia professoressa di Storia e Filosofia non l'ho MAI conosciuta: l'insegnante di ruolo è restata in maternità per 5 anni!!! A occhio e croce ha generato un'intera squadra di pallacanestro, comprese le riserve... in compenso ha generato anche un indotto non indifferente. Cinque supplenti in cinque anni. Lo Stato ha sborsato così 6 annualità in un lustro...
Loro ci chiedevano solidarietà, ma per cosa? Chiedevano un numero di ore inferiore ed uno stipendio più alto... non si poteva scendere in piazza conoscendo i loro altarini.

Oggi
In piazza gli studenti moderni invece ci scendono sempre, a gridare per una scuola migliore, convinti che la soluzione è avere quattro maestre alle elementari ed un nugolo di professori di medie e liceo, mantenendo lo status quo dei professori universitari, che coadiuvano generalmente figli, nipoti e parenti naturali od acquisiti come ricercatori od assistenti o, peggio, come professori associati. Sono i così detti baroni universitari. Un tempo odiati, ed oggi amati e protetti dagli studenti universitari. Non mandateli via! Teniamoceli.

Gli studenti chiedono più investimenti e più professori: sognano di diventare essi stessi membri di questo nugolo di parcheggiati che nella maggior parte dei casi chiedono finanziamenti per ricerche già effettuate all'estero, snobbano le ricerche mediche su AIDS e cancro se sono portate avanti da professori che non fanno parte della loro stessa cricca e qualcuno dei più temerari pretende anche di passare per ricerca industriale gli studi sul galleggiamento delle uovo sode immerese nei liquidi (ovviamente questa il finanziamento l'ha ottenuta...).

Insegnare: basta laurearsi, fare un esame e un concorso. Poi se non sei affatto capace di insegnare, non importa; se quando parli, gli studenti non ti capiscono, non importa; se quello che insegni contraddice quanto dicono i libri di testo, non importa; se non riesci tu stesso a risolvere un'equazione o non sai neanche dove si trova Potenza, non importa. Non sono requisiti fondamentali in Italia. Conta che la burocrazia ti dia il patentino da prof, non che tu lo sia veramente. E così se vi siete laureati in lettere, lo fate per diventare prof, altrimenti rimanete disoccupati: e v'incavolate perché vi dicono che di prof ce ne sono pure troppi. Uno ogni dieci studenti. Così tanti che poi agli studenti non rimane nulla ed escono dalle elementari semianalfabeti.

Nella mia giovane vita ci sono tre episodi che mi hanno fatto perdere rispetto e solidarietà per l'istituzione scolastica italiana.

Futuro segnato
La professoressa di matematica del liceo era convinta che un mio compagno di classe al massimo sarebbe finito a fare lo spazzino e che quindi non c'era bisogno di aiutarlo per fargli avere un punto in più della sufficienza all'esame di diploma per permettergli di fare domanda all'ISEF come lui desiderava. Aveva deciso lei, che l'anno successivo andava in pensione, il futuro di un ragazzo di 18 anni, con tutta l'arroganza tipica di chi è convinto che gli studenti sono oggetti e non soggetti. Avevo capito che lei non aveva capito in tanti anni quale fosse il suo compito istituzionale: era convinta che il suo compito era quello di prendere burocraticamente uno stipendio e che gli studenti erano individui a lei sottoposti. La verità è il contrario: i professori sono solo impiegati il cui unico scopo è quello di insegnare ai figli dei loro datori di lavoro od ai loro datori di lavoro stessi, i cittadini contribuenti.

Studente modello
Ho pensato di abbandonare l'università quando ho conosciuto Alberto. Ero al primo anno di Filosofia e a lui mancavano due esami alla laurea: era disperato. Alberto aveva uno libretto che faceva spavento per due motivi: solo 30 e lode ed una matricola d'iscrizione vecchia di ben 22 anni!!!
Sì, Alberto si era regolarmente iscritto all'università all'età di 18 anni e dando un solo esame all'anno (perfeto, va detto) era arrivato fino ai 40 anni, alto 2 metri, largo altrettanto, pelato con la barba incolta e perennemente vestito da "metallaro" (piercing compresi). Però si faceva ancora mantenere da mamma e papà, operai pensionati, all'università. Che fare dopo laureato? Come ricercatore non se lo prendevano. La scuola di dottorato gli avrebbe preso al massimo un paio d'anni... Soluzione? Diventare insegnante di lettere al liceo!

Ed
Anni dopo ho uno strano incontro in tipografia: lavoravo come desktop designer e mi ritrovo al mio fianco la mia ex-insegnante di italiano del liceo. Aveva sostituito un'altra insegnante che ancora ricordo con rammarico: sia perché decise di abbandonare l'insegnamento per divergenze di opinioni coi suoi colleghi, sia perché grazie a quella donna ho appreso finalmente qualcosa della mia lingua, sia perché insegnava con una missione, infondere conoscenza e scacciare l'ignoranza.
Chi l'ha sostituita, dal punto di vista conoscitivo, ha capacità analoghe, ma un po' per la più giovane età, un po' per via di un carattere meno duro, ne avevo un ricordo meno persistente.
Durante la composizione del giornalino scolastico mi permisi di fare una piccola correzione al testo, non segnalata, va ammesso: sostituii e congiunzione con ed.
In italiano se la congiunzione precede una parola che inizia per vocale, a sua volta seguita da un'altra parola che inizia per consonante, aggiunge la d.
Non è un consiglio, ma una regola della nostra lingua, per non rendere la frase cacofonica. Per la mia professoressa era meglio non apportare tale modifica. Perché?
  1. Perché altrimenti lo studente che aveva scritto il pezzo (un moccioso di 17 anni...) ci sarebbe rimasto male di una tale "sottolineatura" di una conoscenza di base a lui ignota.
  2. Tutto sommato è in "disuso" e siccome "non la usa più nessuno", tanto vale non impiegarla tale regola, anche se c'è.
Concludiamo? Non sono il numero dei professori che faranno la differenza, ma la qualità degli stessi. Ottenere un posto in una lista non fa di una persona un insegnante, come il fatto di saper articolare le parole non fa di noi umani degli uomini (sempre una citazione della Reverenda Madre Mohiam).
I professori devono venire preparati a svolgere questo loro lavoro, non devono impararlo sul campo: devono saper insegnare veramente, mantenere l'attenzione, la disciplina ed inculcare conoscenza negli studenti, che non sono loro sottoposti, ma neanche loro pari. Sono i figli dei contribuenti o sono contribuenti loro stessi: sono cioè i datori di lavoro dei professori e di tutti i burocrati d'Italia.

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